La ristorazione dell’hotel è spesso motivo di discussione da parte di consulenti alberghieri, soprattutto adesso che c’è una maggiore attenzione ai costi e ai ricavi dell’ impresa alberghiera. Partiamo da una citazione di Franco Grasso per capire le contraddizioni della doppia settorialità: “il tovagliolo mangia il lenzuolo”.
Parafrasato significa: ciò che di buono si fa con la vendita camere viene poi perso col settore “ristorante”.
Tralasciando l’ambito filosofico, l’albergatore è fondamentalmente un venditore di servizi. Tra questi servizi, il primario è sicuramente il pernottamento, a cui fanno seguito un’altra gamma di attività secondarie. I servizi aggiuntivi sono più o meno importanti a seconda della tipologia d’albergo, della logistica, della geolocalizzazione e delle strategie aziendali. Generalmente nelle zone di costa o in quelle di montagna la presenza di un servizio di ristorazione interno all’albergo è molto alta, mentre cala in percentuale nelle grandi città.
Sono proprio gli alberghi di costa ad essere i più conosciuti per promuoversi anche in ambito culinario. Generalmente quando si pensa ad un albergo che pacchettizza con pranzo e cena inclusi, evidenziando ottimi rapporti prezzo-qualità, ci riferiamo alla Romagna. E’ proprio da lì che parte è partito qualche mugugno e qualche insofferenza per la gestione tradizionale del ristorante d’albergo.
Tanti albergatori si stanno facendo una domanda: conviene tenere aperto un ristorante d’albergo?
Ogni albergo ha un proprio contesto storico, un proprio target di riferimento e una propria organizzazione interna per quanto concerne il personale. Non c’è una risposta generica che possa essere esaustiva, ma ci sono diverse considerazioni su cui riflettere.
Tradizione e marketing. La tradizione della cucina italiana, esportata in tutto il mondo ha sicuramente una valenza positiva in fase di marketing. Appare giusto e lecito poter associare l’icona di un piatto con le posate a quella di un letto. Un conto è scegliere una pensione completa alle Maldive ( con tutto il rispetto per le altrui culture ) e un conto è sceglierla a Rimini o Sorrento. Sicuramente, il ristorante in abbinamento al pernottamento può essere un fattore discriminante di scelta soprattutto in comparazione con soluzioni di altra nazionalità.
Appeal. Generalmente, a meno che non sia presente il target della terza età, quello della famiglia oppure il business, c’è una buona cultura a frequentare ristoranti tipici e alla moda. La vacanza come scoperta del territorio è fatta anche di queste esplorazioni. Per quanto riguarda l’attività di ristorazione “per esterni”, l’affiancamento della parola ristorante a hotel genera una conclamata negatività.
Budget. Continuo a sostenere sempre che nei ristoranti d’albergo, in genere si mangia molto bene e si rischia di spendere un terzo rispetto ad una soluzione esterna. Proprio perchè spesso i prezzi sono forfettati in ribasso e viene dato libero sfogo al cliente, le marginalità di guadagno sono discretamente assottigliate. L’aumento del costo delle materie prime, del costo del personale e dei costi generali di mantenimento a norma, non hanno fatto variare sostanzialmente il prezzo di vendita di un pasto in hotel. Tutt’ora sono visibili, anche in hotel tre stelle differenze tra la mezza pensione e la pensione completa quantificate in soli 8 euro.
Personale. Per il settore food and beverage si necessita generalmente di un numero di collaboratori più alto che negli altri settori. La scarsa proporzione tra personale impiegato e utile prodotto è un’ennesimo segnale d’allarme. Inoltre alcune figure sia di sala che di cucina, rispetto a qualche anno fa, sono meno professionali e meno disposte a fare orari spezzati.
Ma allora perchè tenere aperto un settore che ha una produttività scarsa e spesso un bilancio negativo?
Tanti albergatori rispondono instintivamente che togliendo il servizio di ristorante perderebbeo tanti clienti abituali e pure i target precedentemente citati.
Secondo voi è sufficiente come motivazione?
Il tovagliolo mangia veramente il lenzuolo?